Vi è mai capitato di sedere davanti ad un amico o compagno con un enorme desiderio di raccontare e condividere qualcosa di voi e di accorgervi, dopo poche parole, che al vostro interlocutore non importa un bel niente di quello che avete da dire e che aspetta solamente che voi tiriate il fiato per iniziare a parlare di sé?
Ho scoperto di recente che questo interlocutore distratto, per non dire peggio, non solo non sa ascoltare, ma soprattutto non sarà mai un grande attore. E con “grande” non intendo ricco o famoso o pluripremiato, intendo un attore vero, che sul palcoscenico sa trasmettere la realtà e la credibilità delle sue azioni teatrali.
Seguivo la Meisner Technique già da qualche tempo, da lontano e in sordina: un libro letto, un articolo sfogliato, qualche video su Youtube. E’ solo quando mi sono decisa a partire per Milano che ho provato sulla mia pelle quanto questa metodo aiuti ad avvicinarsi alla consapevolezza di quello che si è come persone e come attori, di quello che abbiamo dentro che, diciamocelo qua, è l’unica cosa che abbiamo veramente da offrire all’altro (pubblico o attore che sia), una volta messo piede sulla scena.
Non siate interessanti, siate interessati. Una buona parte del lavoro si basa sull’ascolto dell’altro, sullo spegnere quel riflettore che ci fa perennemente essere concentrati sul nostro io, e proiettare l’attenzione su ciò che è altro da sé: grazie a quattro ore al giorno di training fisico, accompagnato dalla musica (che tra l’altro mi ha regalato lividi grossi come gatti più o meno ovunque…), si sono create delle connessioni tra i membri del gruppo che vanno al di là del normale relazionarsi con le persone nella vita di tutti i giorni: scatta qualcosa che è difficile spiegare a parole e si intuisce davvero che se è l’istinto a guidare le azioni, queste ultime diventano più autentiche.
Act before you think: your instincts are more honest than your thoughts.
E per chi, come me, vive nella testa, scoprire questa cosa di sé da dentro, è un’esperienza sorprendente.
Ma come si può applicare questo ascolto verso l’altro quando si deve interagire con un attore sulla scena? Uno degli esercizi più famosi, sul quale Sanford Meisner ha costruito il suo intero percorso, è quello della Ripetizione. Partendo da un lavoro a coppie, entrambi con l’attenzione fissa sull’altro, si genera una serie di osservazioni spontanee sullo stato dell’altro qui ed ora, che vengono ripetute avanti e indietro tra i due partecipanti, finché non avviene in uno dei due un nuovo cambiamento che potrà, o dovrà essere subito notato e detto dal compagno osservatore.
Si genera così un susseguirsi di azione/reazione vere e autentiche che non hanno niente a che vedere con il “devo provare tal sentimento, talaltra emozione”. L’istinto agisce ed è più genuino di qualsiasi pensiero costruito.
Il passo successivo, fatto nel secondo seminario e che ci ha portati un po’ più vicini al concetto di “scena” comunemente intesa, è stato quello di concentrare l’attenzione su un nostro desiderio reale e specifico: solo per mezzo della concretezza e dello specifico del nostro vissuto è possibile che si crei nell’attore una reazione/azione vera. Grazie all’effetto che il desiderio può fare su di noi, combinato con delle circostanze immaginarie date, per mezzo dell’interazione e dell’ascolto dell’altro e il tutto sempre accompagnato dalla Ripetizione, tra gli attori si genera una scena (del tutto priva di testo dato) di una genuinità che ha dell’incredibile: o meglio non sembra nemmeno teatro, come comunemente si intende il termine, è vita vera.
Repetitionchanges: sembra un ossimoro, in quanto il concetto stesso di ripetizione implica qualcosa che rimane sempre uguale a se stesso, quando invece sono solo le parole a rimanere identiche, ma è la nostra reazione umana che cambia, facendoci provare senza nessuno sforzo qualcosa di reale, autentico e in quanto tale perfettamente riconoscibile all’esterno.
Non dovete fare niente, solo ripetere, e tutto cambia da solo.
Come applicare tutto questo al testo tradizionale (Il testo è il vostro peggior nemico)? Sono curiosa di scoprirlo nel terzo seminario.
Un’esperienza questa che ha aperto un piccolo spazio verso una nuova consapevolezza del mio voler fare teatro: la strada iniziata da Stanislavskij e che ho conosciuto e sperimentato a Schio Teatro Ottanta è ancora lunga e c’è ancora molto da scoprire.
Sei giorni che mi hanno lasciato molto ma che mi hanno tolto una sicurezza: ogni volta che metterò piede in scena, o vedrò qualcun altro farlo, mi chiederò: “Sono vera? Sono veri?” E non è affatto detto che la risposta sia un sì.
Elena S.
stefano
Lucia
Andrea Genito