I monologhi della Vagina

Una domenica di un paio di anni fa, mentre vagavo curiosa tra gli scaffali di una libreria alla ricerca di nuove letture, mi sono imbattuta in un volume che subito ha destato la mia attenzione: “I monologhi della vagina”. Non sapevo come collocarlo, ero nel reparto teatro, non letteratura erotica, e qualcosa non mi tornava. La mia mente inconsciamente era già partita ad immaginare strane fantasie e mi ritrovavo ad essere imbarazzata solo per averne letto il titolo. "Che genere di monologhi può fare una vagina?" - pensavo tra me e me - "Un libro sulle vagine? Chi può averlo scritto? Sarà una sciocchezza!"

Allora con fare furtivo, attenta che nessuno mi vedesse, iniziai a sfogliarlo e con sorpresa mi resi conto che era un'opera di liberazione e denuncia, di affermazione della femminilità e di attacco contro la violenza sulle donne, scritto da una regista americana che da giovane aveva subito uno stupro, e che il mio pensiero era caduto in un luogo comune diffuso: parlare di vagina così direttamente non si fa, non sta bene, crea imbarazzo, vergogna. Meglio usare altre parole. Ma proprio questa era la forza di quel libro: dire senza veli della vagina e della sessualità femminile, per abbattere un tabù fisico e psichico e per sensibilizzare contro le violenze e la discriminazione.  Confesso che la prima lettura di quest'opera non è stata semplice, in molti punti troppo crudi e duri è stato emotivamente difficile continuare.  Però capivo l'importanza di quegli scritti e mi chiedevo come sarebbe stato rappresentarli a teatro, se avrei mai trovato il coraggio, come avrebbe potuto reagire il pubblico.

Così è iniziata la mia ricerca nel mondo dei Monologhi. Ho scoperto che c'è un progetto importante a loro collegato, il V-day, un movimento globale che ha l'obiettivo di difendere i diritti delle donne; ho scoperto che i Monologhi sono rappresentati in tutto il mondo da donne di ogni età, razza e religione; ho capito sempre di più che volevo provare a metterli in scena anch’io. Per cominciare sono andata a vedere un paio di allestimenti dei Monologhi e devo dire che inizialmente mi sono un po' scoraggiata. Gli spettacoli a cui ho assistito erano certo ben fatti, ma mettevano in risalto aspetti così crudi che mi avevano messo a disagio. Io non volevo mandare in scena una rappresentazione troppo femminista, né emotivamente troppo violenta. Pensavo sì ad uno spettacolo di denuncia sociale, ma fatta in maniera, per così dire, più "poetica", che lanciasse un messaggio forte e chiaro, ma senza esagerazioni. L'idea mi è ronzata in testa per un po', non sapevo se sarei mai riuscita a rappresentare quest'opera, ma nel frattempo, per avere qualche parere e suggerimento, avevo fatto leggere il libro ad alcune compagne di teatro, le quali mi diedero tutte riscontri molto positivi.

Poi il Maestro ha lanciato la giornata di "In a Nutshell Out". Era l'occasione che aspettavo per provare a realizzare questo piccolo progetto a cui pensavo ormai da tempo. Ho chiesto subito aiuto alle amiche di Bottega, Alessandra, Anna, Alice, Magda ed Elena che hanno accettato entusiaste, seppur alcune con qualche timore, perché il testo non era facile e poteva mettere a disagio. Questa era un po' anche la mia perplessità, così nella riduzione e nel riadattamento dell’opera ho cercato di mantenere la linea a cui avevo pensato, speravo di riuscire ad elaborare un copione efficace nella denuncia, ma senza esagerazioni.

È stata una grande esperienza lavorare insieme a questo spettacolo. Ognuna di noi, in base alla propria sensibilità, ha scelto un monologo da recitare e l'ha fatto suo. Le parti corali poi le abbiamo elaborate mettendo insieme tutte le nostre idee (che erano tante, le donne sono sempre piene di idee!) aiutate dalla sapiente regia di Elena, cercando un filo conduttore - la rosa rossa - che doveva fungere da trait d’union tra i singoli monologhi e rappresentare simbolicamente il grande amore delle donne e la violenza che purtroppo continua ad esistere. Le musiche, infine, le abbiamo affidate ad un'amica tastierista, tutte d'accordo che la voce del pianoforte avrebbe sottolineato nel migliore dei modi quel percorso emotivo al femminile.  L'emozione della prima è indescrivibile. Eravamo al Piccolo Velario, un pomeriggio tra amici, certo, ma per noi era un momento importante, avevamo lavorato sodo insieme, ci eravamo messe in gioco anche nelle nostre parti più intime, credevamo in quel progetto di denuncia, e ora si trattava di riuscire a superare la prova più difficile: comunicare tutto questo al pubblico.

Temevo molto l'impatto con la gente, avevo paura che lo spettacolo non fosse compreso, che risultasse troppo sfacciato, emotivamente di disturbo. Invece gli applausi e le critiche positive che abbiamo ricevuto mi hanno rincuorato.

Il messaggio e le emozioni sono arrivati, e mi piace pensare che nel nostro piccolo abbiamo contribuito anche noi a sensibilizzare su un tema, quello della discriminazione e della violenza sulle donne, che merita di essere messo continuamente sotto la luce dei riflettori.

Paola P.

Nessun commento ancora

Lascia un commento